Può raccontarci brevemente la storia del progetto “Ancora natura per il Col di Lana”? Come è nato e quali sono i suoi principali obiettivi e risultati previsti o già raggiunti?
Eleonora Mariano (PEFC Italia), responsabile di progetto: Il progetto nasce a ottobre 2018 con la tempesta Vaia, un evento estremo che ha messo in difficoltà moltissime aree del nord est e la provincia di Belluno. In poche ore sono caduti circa nove milioni di metri cubi di alberi, che corrispondono a ciò che si raccoglie in sette anni di attività di selvicoltura naturalistica, quindi attenta alla natura.
È stato un evento disastroso.
A seguito di questo evento PFEC Italia (Programma di Valutazione degli schemi di certificazione forestale), insieme a Coldiretti e a Rete Clima, ha voluto dare il via a un’attività in un’area in particolare, il Col di Lana, per aiutare la natura a fare quello che avrebbe fatto da sola ma in tempi più lunghi.
Gli obiettivi del progetto sono di favorire la rinascita della natura con un’attività di ripristino e di riforestazione, creare un sentiero naturalistico e promuovere la sensibilizzazione e il coinvolgimento dei giovani studenti della zona.
I fondi 8×1000 della Soka Gakkai italiana sono stati fondamentali perché ci hanno consentito di portare il progetto “Ancora Natura”, che era già stato avviato in altre aree, qui nella provincia di Belluno e nel Col di Lana.
Abbiamo potuto mettere insieme vari professionisti, realtà imprenditoriali e realtà locali che insieme a noi vogliono proseguire, aumentare e diffondere le attività elaborate e definite nell’ambito del progetto.
Quindi è stato un “enzima” che ci permetterà di proseguire il lavoro anche dopo la fine del progetto.
Quali sono state le maggiori sfide che avete affrontato?
Orazio Andrich, dottore forestale coinvolto nel progetto: Le difficoltà iniziali sono state enormi, la tempesta di Vaia ha causato danni terribili, anche in boschi che noi pensavamo fossero abbastanza stabili. A seguito della tempesta si è verificata un’infestazione, ancora in corso, di un insetto che divora le piante.
La prima sfida è stata chiederci quanto dovevamo affidarci alla natura e quanto invece era importante intervenire. Abbiamo innanzitutto cercato di dare una risposta dettagliata e obiettiva a queste due alternative.
Abbiamo “aiutato” la natura con la composizione delle specie arboree, ma nei boschi di alta quota come quelli in cui ci troviamo – qui siamo a 1600-1850 metri di altitudine – non è così facile.
Le specie scelte sono state il larice, il pino cembro e latifoglie, in aggiunta all’abete rosso che ricrescerà spontaneamente. Le ceppaie dei tronchi abbattuti che sono rimasti, saranno utili come aiuto alla micro-protezione di queste piante.
Un’altra sfida è stata quella degli “ungulati”, principalmente cervi, ma anche camosci e caprioli, che di fronte a queste piante nuove tendono a cibarsene. Infine, la sfida naturale più forte sono la neve e il gelo, ma anche le diverse variazioni climatiche. Noi abbiamo incluso questa complessità nel nostro pensiero progettuale e in una semplicità operativa, attivando una profonda riflessione e osservazione di com’è la natura del territorio, imitandone le dinamiche.
Qual è stato l’impatto del progetto sulla comunità locale e quale ruolo ha avuto la comunità locale nella realizzazione e nel supporto del progetto?
La comunità locale a Livinallongo e nell’alto Cordevole all’inizio è stata impegnata nell’affrontare problemi molto concreti, con l’esondazione dei torrenti, le valanghe, la sistemazione delle strade e delle case.
Il nostro progetto, di fatto, ha avuto due momenti chiave di confronto con il territorio e con la comunità locale.
In un primo momento, proprio con l’avvio del progetto, abbiamo lavorato per studiare e capire nel dettaglio le esigenze e le dinamiche specifiche di quest’area: il nostro obiettivo infatti è quello di realizzare un intervento che si inserisca in maniera armoniosa e funzionale con il paesaggio e la comunità locale. Per raggiungere questo obiettivo, la conoscenza del territorio e dei suoi abitanti è stato ed è un elemento essenziale. In questa fase iniziale, la comunità ci è stata vicina e noi abbiamo potuto dare loro un supporto motivazionale, facendo sapere che non erano soli.
Il secondo momento di confronto è legato all’implementazione vera e propria del progetto di riforestazione e di ripristino del sentiero che ha visto coinvolti nella realizzazione ditte e operatori locali. In questa fase stiamo lavorando facendo conoscere il nostro progetto ma anche scambiando le nostre idee sulle varie soluzioni tecniche possibili. Di certo quello che abbiamo imparato da questa esperienza è la sorprendente similitudine tra l’atteggiamento delle comunità di montagna e quelle degli alberi: gli alberi, come le persone, in queste condizioni rispondono in maniera straordinaria se collaborano realmente, aiutandosi per affrontare insieme le difficoltà climatiche e non.
In che modo il progetto aiuta studenti e studentesse delle scuole coinvolte a sviluppare la consapevolezza dell’interazione che c’è tra noi e l’ambiente?
Michele Nenz, Coldiretti Belluno partner di progetto: Gli eventi catastrofici che hanno interessato l’area nel 2018 ci fanno capire come la natura di fatto faccia il suo corso e che sempre di più l’essere umano non ha la possibilità di intervenire se non in una fase di ripristino delle aree.
Il coinvolgimento dei ragazzi e delle ragazze dell’Istituto Agrario di Feltre che ha anche un indirizzo forestale, è stato molto importante. Sensibilizzare e formare le nuove generazioni sul tema del rispetto della natura, dell’ambiente, ma anche dei cambiamenti che si stanno verificando, è fondamentale. La selvicoltura deve essere sempre di più di tipo naturalistico.
L’interessamento da parte di docenti e studenti ci ha permesso, anche attraverso l’organizzazione e la progettazione del percorso naturalistico, di diffondere una cultura della selvicoltura naturalistica. Guardare il bosco, guardare ciò che la natura normalmente fa e seguire le modalità con le quali si rinnova.
Le nuove generazioni dovrebbero approfondire sempre più che l’essere umano può intervenire, può aiutare, può coltivare in giuste quantità, ma che poi la natura esprime le sue caratteristiche, e le piante che si insedieranno in una certa area sono quelle che naturalmente lì potranno vivere e che di fatto andranno a svilupparsi.