Insieme si crea il futuro

Educazione

Abbiamo intervistato Julia Di Campo, esperta nazionale di Save the Children in povertà educativa, per parlare insieme del progetto "DOTi: diritti e opportunità per tutti e per tutte" finanziato con i fondi 8x1000 dell'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai.

Uno degli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030 è «garantire un’educazione di qualità, equa e inclusiva». Il progetto “DOTi: diritti e opportunità per tutte e per tutti” finanziato con i fondi 8×1000 dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai è esattamente in linea con questo obiettivo. Come nasce e in cosa consiste il progetto?

Fin dal 2014 hanno preso avvio iniziative di Save the Children al fine di contrastare la povertà educativa in Italia e in tale contesto nascono i Punti Luce, spazi educativi che intendono dare supporto diretto a bambini/e e ragazzi/e dai 6 ai 17 anni.
Nel corso del tempo si sono sviluppate azioni sempre più concrete per perseguire gli obiettivi di equo accesso alle opportunità educative, di studio e culturali, che nel nostro Paese ‒ le evidenze statistiche lo dimostrano ‒ non sono alla portata di tutti giovani.
Durante il percorso abbiamo incrociato l’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai e l’unione di intenti ci ha permesso di avviare una nuova azione in diversi territori italiani dove gli indicatori di povertà educativa ci dimostrano che bambini/e e ragazzi/e vivono in condizioni di forte privazione culturale e di diritti. 
L’obiettivo del progetto non è solo di farli partecipare alle attività ma di inserirli nella rete della comunità aiutandoli a mettersi in gioco, provare nuove esperienze e dove possono sperimentarsi grazie alle possibilità che purtroppo non sono sempre così scontate per tutti.

Il presidente Daisaku Ikeda nella sua Proposta di pace 2022 inviata alle Nazioni Unite ha affermato che «l’essenza dell’educazione consiste nel piantare pazientemente i semi della possibilità nel cuore dei bambini e delle bambine, seguendoli con il massimo impegno affinché giungano a piena fioritura». Nella situazione di crisi e di trasformazione sociale che stiamo vivendo molti giovani rischiano di rinunciare ai loro sogni. In che modo il progetto DOTi stimola il loro empowerment?

Il progetto si rivolge a un’ampia platea di beneficiari, dai 6 ai 17 anni, e interviene con svariate modalità per rispondere a bisogni diversi, al fine di stimolare il loro potenziale. 
Un aspetto centrale è dare la possibilità di comprendere quali sono i loro ambiti di interesse.  Ad esempio: come posso sapere se mi piace nuotare oppure se preferisco studiare qualcosa nello specifico? Posso saperlo solo se lo sperimento. Sembra una banalità ma non lo è. Mettere in condizione i più giovani di sperimentare qualcosa di nuovo e mettersi alla prova è fondamentale per la loro crescita. 
La pedagogia afferma che per sviluppare il proprio benessere è necessario sperimentarsi attraverso prove ed errori, comprendere con l’esperienza quali sono gli ambiti nei quali stare bene e come potersi realizzare. 
Il progetto fornisce queste opportunità, che possono riguardare percorsi di accompagnamento allo studio, praticare un’attività sportiva, frequentare un centro culturale oppure corsi di teatro ma anche di sperimentarsi in attività di gruppo come i campi estivi, in cui tra pari si impara a vivere in una comunità. In questo senso il contributo dell’Istituto Buddista Italiano è stato ed è fondamentale.

Un aspetto cruciale del progetto è la sua capacità di creare delle reti di fiducia e solidarietà partendo dalla comunità locale. Non sostiene unicamente il singolo bambino o ragazzo, ma coinvolge in questo processo tutta la comunità educante. Questo aspetto della creazione di reti è stato ulteriormente implementato in questa seconda annualità di progetto appena trascorsa, sostenuta attraverso i fondi 8×1000 della Soka Gakkai, attraverso le cosiddette “doti di comunità”. Potrebbe dirci di cosa si tratta e come funzionano?

Intorno al minore gravitano diversi attori della comunità territoriale, come la famiglia, la scuola, gli educatori, le associazioni sportive o culturali. Le doti di comunità intendono essere una potente azione strettamente connessa al territorio che unisce tutti gli sguardi degli attori che hanno competenze e ruoli diversi. Sono un “volano” per fare comunità mettendo al centro le necessità dei più giovani.
Dopo aver ascoltato i loro desideri, insieme, si traccia un percorso, un patto educativo con una durata specifica. Creare un circolo virtuoso di attori intorno al minore garantisce di tracciare un percorso di crescita che può riuscire a realizzare, percorso che può esser cambiato o ricalibrato nel tempo. 
Abbiamo potuto constatare quanto l’azione delle doti di comunità abbia permesso di connetterci con le comunità di riferimento, rafforzare la volontà di un approfondimento sulla povertà educativa e comprendere che possediamo ancora pochi strumenti concreti attorno ai quali unirci per lavorare come adulti responsabili.
A seguito di un percorso di formazione ‒ realizzato nell’ambito del progetto finanziato con i fondi 8×1000 dell’Istituto Soka Gakkai ‒ in cui si approfondivano tematiche legate alla povertà educativa che ha coinvolto direttamente i servizi sociali e le realtà educative di alcuni territori, è stato proposto un incremento delle doti di comunità. Tutto ciò ha stimolato l’interesse di nuovi Comuni come possibili aderenti al progetto.

C’è un messaggio di speranza che desidera dedicare ai giovani che si trovano in un momento di difficoltà, e alle famiglie e alla comunità educante che li stanno sostenendo?

Ai giovani dico di non smettere mai di esercitare il loro diritto di parola, di afferrarlo in tutti i sensi e con tutte le modalità, perché attraverso il loro diritto di parola chi è capace di ascoltare può accogliere ciò che è necessario per loro.
Alle famiglie e alle comunità dico di continuare ‒ o incominciare ‒ ad ascoltare responsabilmente.
Le declinazioni della povertà educativa sono diverse a seconda dei territori in cui operiamo e le doti di comunità portano alla luce le maggiori criticità. Ci sono zone in cui i minori provengono da diversi contesti etnici in cui si arriva anche a ventitré etnie differenti per quartiere. In quel caso si opera prevalentemente all’interno di bisogni educativi speciali connessi alla lingua e allo studio.
In altri territori ci si trova di fronte a necessità concrete come l’acquisto dei libri scolastici o di un abbonamento per i trasporti pubblici. In altri ancora si lavora sulle pratiche sportive, culturali o con i corsi di informatica. Conoscere le declinazioni della povertà educativa è essenziale per intercettare quei bisogni che sono taciuti. 

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