Maschile Plurale

Educazione

Il progetto “Contrastare la violenza di genere trasformando la cultura che la produce”, realizzato dall’associazione Maschile Plurale grazie ai fondi 8×1000 dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai, svolge un’azione integrata sul piano della formazione, della comunicazione e della produzione di linee guida, al fine di promuovere la consapevolezza maschile sulle dinamiche relazionali che sono alla base della violenza di genere.

Stefano Ciccone, Presidente dell’Associazione Maschile Plurale

È urgente la necessità di ripensare gli interventi di contrasto alla violenza di genere coinvolgendo un numero sempre maggiore di uomini nella promozione di nuove relazioni di genere. Lei è presidente dell’Associazione Maschile Plurale, qual è la vostra mission e a chi è indirizzata?

Maschile Plurale è nata da una presa di consapevolezza come uomini di quanto la violenza maschile contro le donne chiamasse in causa tutti noi, mettesse in discussione una cultura diffusa e condivisa, chiedesse di cambiare la nostra idea di amore, di famiglia, la nostra concezione della sessualità. Ridurre la violenza a questione di “cronaca nera” e invocare risposte repressive finisce per essere una fuga dalla propria responsabilità: deleghiamo alla giustizia la repressione senza scalfire la nostra “normalità”. Noi abbiamo iniziato, ormai molti anni fa, a prendere parola come uomini contro la violenza, ma anche a costruire spazi di confronto tra uomini per indagare i fili sotterranei che collegavano noi a quella violenza che sapevamo non essere né mera devianza o patologia né residuo del passato né riducibile a frutto di marginalità e degrado.
Questo confronto tra uomini non riguarda solo o tanto la violenza, ma prova a interrogare le nostre vite per produrre un cambiamento. Non si tratta solo di un impegno volontaristico, frutto di un’assunzione di responsabilità di fronte al dominio e alla violenza esercitati dagli uomini. Spesso abbiamo pensato il cambiamento separando la dimensione sociale da quella individuale. Noi crediamo che il potere e il privilegio abbiano anche prodotto una miseria nella vita degli uomini e crediamo che la libertà e l’autonomia delle donne, con cui ci misuriamo sempre più, non siano una minaccia ma, al contrario, un’opportunità per la nostra libertà e la qualità delle nostre vite.

In cosa consiste esattamente il progetto “Contrastare la violenza di genere trasformando la cultura che la produce”?

Siamo partiti dalla nostra esperienza e dalla frustrazione che incontrano le tante persone impegnate nel contrasto alla violenza. Sempre di più si parla di violenza contro le donne, ma troppo spesso se ne parla male. Crescono le iniziative istituzionali e della società, ma il fenomeno non pare essere scalfito. Ci siamo chiesti, allora, cosa manca? Cosa non funziona? E abbiamo ragionato su tutti i limiti che abbiamo incontrato nei vari ambiti di intervento in cui siamo impegnati: dalla comunicazione al lavoro con gli autori di violenza, dagli interventi nelle scuole alle campagne istituzionali per il contrasto del fenomeno. In questi anni abbiamo ragionato sulle ambiguità, spesso sulle contraddizioni e addirittura sulle inconsapevoli complicità che questi interventi mostrano con la cultura che genera e giustifica la violenza: dalla rappresentazione delle donne deboli all’alimentazione di una ingiustificata nostalgia per modelli sociali tradizionali, dal linguaggio spesso superficiale e conformista. Abbiamo pensato fosse necessario provare a dedicare del tempo, oltre la fretta quotidiana del fare, a mettere a punto tutti questi limiti per provare a dare qualche risposta e qualche indicazione basata sulla nostra esperienza, sul confronto con le tante realtà che abbiamo incontrato e con cui collaboriamo. Partendo dall’assunto che dà il titolo al progetto – produrre una trasformazione culturale – abbiamo dunque deciso di mettere in campo un lavoro che tenga insieme la riflessione, l’ascolto delle esperienze e l’impegno a proporre soluzioni, offrire strumenti culturali e riferimenti concreti per contribuire a cambiare il modo in cui tutti e tutte affrontiamo il fenomeno della violenza.

Con i fondi 8×1000, l’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai ha finanziato il progetto. Quale impatto si spera di avere grazie a questo contributo?

La disponibilità dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai a sostenere la realizzazione di questo progetto è stata per noi una sorpresa molto importante che ci carica anche di responsabilità. L’obiettivo è superare la frammentazione delle iniziative degli interventi e costruire risposte integrate e utili nel tempo, riproducibili, condivisibili e coerenti. L’impatto che ci prefiggiamo è su due piani: il primo consiste nel realizzare occasioni di confronto vere tra i diversi soggetti, le realtà associative istituzionali e le diverse professionalità impegnate a vario titolo in questo ambito per far avanzare approcci più consapevoli. Abbiamo iniziato con l’ambito più controverso che è quello del lavoro con gli autori di violenza e con quello degli interventi didattici e di sensibilizzazione nelle scuole. Anche questo, peraltro, incontra, come è noto, molte resistenze. A breve si svolgeranno due incontri a cui teniamo molto e che coinvolgono da un lato gli operatori e le operatrici dell’informazione e della comunicazione per una riflessione critica sui molti limiti del modo in cui i media trattano il problema, ma anche dei limiti che segnano le campagne di sensibilizzazione prodotte da istituzioni, aziende e associazioni. Il secondo incontro coinvolgerà associazioni, mediatori culturali, associazioni di donne e comunità immigrate e riguarderà la violenza in una società multiculturale: dall’uso xenofobo e securitario dell’allarme per la violenza contro le donne, alla violenza diffusa e istituzionale esercitata sulle donne migranti sottoposte a tratta. Vogliamo ragionare insieme a chi lavora “sul campo” su come costruire una comunicazione destinata a giovani maschi provenienti da altre culture sulle relazioni tra i sessi e valorizzare le esperienze e le elaborazioni di donne di culture e religioni diverse. Tutto questo lavoro è sempre accompagnato dal coinvolgimento dei gruppi locali dell’associazione a cui chiediamo di valorizzare le proprie relazioni territoriali, ma anche di intervenire nel merito del confronto. Il secondo piano di intervento per ottenere un impatto significativo e duraturo è quello a cui lavoreremo nell’ultima fase del progetto e che consiste nel produrre delle “guide”, degli strumenti di lavoro che offrano riferimenti per arricchire e qualificare gli interventi oggi in campo: indicazioni per i professionisti della comunicazione sulla costruzione di campagne più efficaci e coerenti, indicazioni per insegnanti e associazioni per costruire esperienze didattiche e partecipative nelle scuole, indicazioni per ripensare i percorsi di consapevolezza di uomini che abbiano agito violenza e così via. Al centro c’è sempre il confronto tra uomini e l’esperienza dei gruppi come luogo di elaborazione, ascolto e pratica di cambiamento. Per questo uno degli obiettivi è anche quello di “raccontare” cosa siano i gruppi maschili di condivisione e promuovere la nascita di nuove esperienze locali.

C’è una storia significativa nell’ambito del progetto che vuole condividere?

Siamo ancora in una fase precoce in cui ci siamo dedicati soprattutto all’analisi, al confronto con le esperienze in campo e all’elaborazione di proposte da portare nel confronto con altre e altri. Personalmente sono stato colpito dall’intensità e dalla capacità di misurarsi con la complessità che abbiamo incontrato nelle esperienze di lavoro con gli uomini autori di violenza. Si tratta di esperienze difficili in cui fare i conti con la nostra ambivalenza nel rapporto con un uomo che abbia picchiato, maltrattato, stuprato o ferito una donna: la tentazione di affermare una distanza, la necessità di costruire un ascolto empatico che non ceda al richiamo collusivo, la difficoltà nel confrontarsi con le emozioni contraddittorie che quella relazione ci sollecita. Nell’incontro “Violenza maschile contro le donne. Come ripensare il lavoro con gli autori”, che si è svolto a Roma a settembre 2023 nel contesto del progetto, è stato per me molto significativo l’incontro-scontro tra il portato emotivo dell’esperienza di donne che lavorano nei centri antiviolenza a supporto delle vittime e quello di donne e uomini che promuovono percorsi di cambiamento e consapevolezza degli autori. Persone tutte impegnate nel comune contrasto al fenomeno della violenza, ma che non riuscivano a comprendersi fino in fondo, a far dialogare sofferenze e storie diverse. La difficoltà a riconoscersi reciprocamente e la paura che capire l’altra o l’altro possa negare la propria storia. Il nostro percorso e la nostra elaborazione tentano di stare su questo piano di complessità senza sfuggirlo e senza ricercare soluzioni semplici a un fenomeno complesso, controverso e profondamente intrecciato con il nostro immaginario, i nostri desideri, le nostre paure e le nostre rappresentazioni.

Testimonianza di Andrea Bernetti, Formatore

In base alla sua esperienza di formatore quali sono gli aspetti più innovativi del progetto?

Il lavoro di contrasto alla violenza di genere e più in particolare il lavoro rivolto agli autori di violenza manca di spazi di riflessione condivisa sia sul piano dell’efficacia degli interventi, sia sul piano più ampio di una discussione sui modelli di lettura del fenomeno e quindi sui modelli d’intervento e la loro verifica. In questo senso, il progetto di Maschile Plurale assume una funzione non semplicemente innovativa, ma ancor più necessaria, offrendo un’occasione e un metodo di riflessione, di condivisione e di rivisitazione degli approcci fino ad ora adottati per il contrasto alla violenza di genere e il coinvolgimento del maschile in questo grande obiettivo.

Secondo lei, cosa si dovrebbe fare per prevenire il fenomeno della violenza di genere? Come aiutare gli uomini a diventare consapevoli del loro ruolo nel contrasto alla violenza di genere?

La violenza di genere è un fenomeno profondo e strutturale nella storia delle culture e delle relazioni umane, la prevenzione è un’azione necessaria che richiede consapevolezza della rilevanza profonda del fenomeno. La prevenzione si fonda, a mio avviso, su diversi assi: lavorare su una proposta culturale che destrutturi la cultura del possesso e della trasformazione dell’altro, specie la donna, in oggetto funzionale alla stabilità dell’identità maschile fondata, per l’appunto, sul possesso; lavorare sulla conoscenza e la valorizzazione delle emozioni come fonte di conoscenza di sé e dell’altro, sull’accettazione e sostenibilità della confusione categoriale e identitaria che le emozioni inevitabilmente portano; lavorare sulla conoscenza dei segnali emotivi e comportamentali che indicano un’escalation violenta in atto e una formazione su questi a tutte le figure professionali che più frequentemente potrebbero rilevarli; lavorare sulla creazione di una rete collaborativa e coesa di contrasto alla violenza, che sappia leggere i segnali e coinvolgere le persone che vivono la violenza.
Gli uomini devono assolutamente essere messi al centro, ma non solamente dentro la visione attuale che li vede descritti come soggetti che devono assumersi la colpa della violenza e, in un processo di colpevolizzazione, redimersi e cambiare, questa strategia non è sufficiente. La mia idea è che gli uomini hanno una domanda di cambiamento che va fatta emergere e sostenuta, la cultura patriarcale ferisce anche gli uomini privandoli della loro parte emozionale, costringendoli a relazioni vuote e ripetitive e a un’identità rigida, incapace di stare nelle situazioni di cambiamento. Occorre quindi sviluppare la domanda, il desiderio di cambiamento del maschile, oltre chiaramente a insistere sul disvalore nei confronti dei comportamenti violenti.

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