Può raccontarci gli obiettivi principali della seconda fase del progetto?
I beneficiari del progetto sono giovani NEET (non studiano, non lavorano e non ricevono una formazione) o che rischiano di divenire tali, nella fascia d’età 15-29 anni. Il primo obiettivo è di supportarli nello sviluppo di competenze soft: stima, sicurezza, riqualificazione professionale e accompagnamento psico-emotivo soprattutto nel caso in cui il giovane presenti delle disabilità fisiche e/o psichiche, sia di natura permanente che temporanea.
Il secondo obiettivo è di sostenerli nella ricerca attiva del lavoro, non solo con la stesura del CV e del bilancio delle competenze ma anche nella preparazione e l’accompagnamento all’ingresso consapevole al mondo del lavoro. Quindi preparare il colloquio, trovare il lavoro per loro più adatto, accompagnarli in azienda, seguire il tirocinio e trovare le opportunità formative più adatte.
Li aiutiamo a entrare nel mondo del lavoro con un primo tirocinio extracurricolare e borse di lavoro.
Tra le varie formazioni che offriamo è molto importante quella sui diritti e i doveri dei lavoratori con la banale lettura della busta paga o delle tutele contrattuali che spesso sono poco conosciute.
L’ultimo obiettivo riguarda il coinvolgimento delle aziende sensibili a tematiche di diversity inclusion.
Ci sono approcci particolari o innovativi che vengono utilizzati con i beneficiari?
Come Associazione La Rotonda abbiamo un’ottima capacità capillare di intercettare il disagio, essendo molto calati in una realtà territoriale che presenta delle condizioni di fragilità. Il fatto di avere molteplici servizi ha facilitato il lavoro di intercettazione ed emersione del bisogno lavorativo.
La forte connessione tra i servizi fa sì che il beneficiario venga preso in carico a 360 gradi.
Questo aspetto si unisce al percorso altamente individualizzato che portiamo avanti con i beneficiari, i miei colleghi fanno un grandissimo lavoro di ascolto, dedicando tante ore di colloquio, con l’obiettivo di far emergere chiaramente il bisogno che altrimenti resterebbe nascosto.
Il progetto ha già ottenuto molti risultati, può condividerne alcuni? Quali sono i principali risultati che vi aspettate per questa seconda fase?
Nella prima fase del progetto siamo riusciti a supportare 160 beneficiari nella fascia d’età 15-29 anni e abbiamo coinvolto circa 80 risorse umane delle aziende esterne.
La seconda edizione del Festival In & Aut che si è tenuto a maggio è stato un grosso risultato in termini di rete, di collegamenti con aziende e con chi si occupa da più tempo di persone con neuro divergenze.
L’altro risultato importante è stato lavorare in modo più strutturato con le fragilità estreme, ovvero non solo quella socioeconomica ma con ragazzi con disabilità che non sono certificate.
Sono disabilità a tutti gli effetti perché li rendono meno abili a lavoro, meno performanti o capaci di entrare nel mondo del lavoro, si tratta di una “fascia grigia” ma molto consistente di giovani che non riescono a sostenere un colloquio di lavoro emotivamente o ad essere puntuali… magari fanno tirocini ripetuti all’infinito. Stiamo continuando a migliorare questo aspetto anche grazie all’inserimento nel nostro organico della figura dell’operatore diversity inclusion.
Quali sono state le principali sfide incontrate finora nella realizzazione del progetto?
Molte aziende oggi sono interessate al tema della diversity inclusion, ci sono anche molti sgravi per loro, ma abbiamo l’impressione che siano più interessate sulla carta che nella realtà dei fatti. Quindi la prima sfida è la sensibilizzazione e l’ampliamento della nostra rete con le aziende.
L’altro aspetto riguarda invece il coinvolgimento del beneficiario, infatti può capitare che a prescindere da tutto il lavoro che si fa con loro, alcuni a un certo punto non si presentano più, non rispondono più, e non necessariamente sono quelli con maggiori disabilità o problematiche di tipo psichiatrico.
Dopo la pandemia abbiamo riscontrato un peggioramento nei giovanissimi della capacità di attenzione e di impegnarsi a partire dalla puntualità. La fase due del progetto spinge molto di più sull’orientamento scuola-lavoro. Lavoriamo trasversalmente tra servizi, ad esempio i ragazzi dal servizio doposcuola possono transitare direttamente a quello sull’orientamento al lavoro.
Ci sono altre organizzazioni o enti coinvolti nel progetto? Invece, in che modo la comunità locale è coinvolta?
Come Associazione La Rotonda noi lavoriamo tantissimo in rete, non possiamo avere tutte le competenze del mondo!
Collaboriamo con una fondazione che ha un grosso programma sui diritti e doveri dei lavoratori, che contribuiscono sia alla formazione dei beneficiari sia a quella del nostro personale.
Altre associazioni attivano a livello amministrativo i nostri tirocini, collaboriamo anche con altri enti formativi accreditati dalla Regione Lombardia. Abbiamo una serie di soggetti che fanno parte della nostra rete che sono focalizzati sul lavoro e ognuno contribuisce dandoci un supporto nella ricerca di opportunità lavorative o per l’attivazione di corsi di formazione.
In termini di coinvolgimento della comunità locale – come già detto – noi siamo molto presenti sul territorio, ad esempio il nostro centro si trova proprio in mezzo al quartiere e offre una scuola di italiano, incontri per gli anziani del quartiere, doposcuola per i bambini, lo sportello lavoro e lo sportello migrazioni. Il servizio è anche un modo per attivare la comunità; infatti, lo sportello aveva dei volontari che adesso sono transitati al Centro d’ascolto o su altri servizi.
Oppure dei ragazzi che frequentavano il dopo scuola adesso fanno volontariato per aiutare i bambini delle elementari. Noi siamo ben felici di accogliere volontari, questo aiuta i giovani nello sviluppo delle competenze soft.
Come vedete l’evoluzione del progetto nei prossimi anni?
Da una parte vogliamo consolidare ciò che sta funzionando ma dall’altra siamo sempre pronti a rivedere e rinnovare.
Pensando al futuro, penso sia importante potenziare la nostra offerta formativa. Attualmente abbiamo un corso di formazione di sartoria e un laboratorio di ciclo officina che interessa i giovani del doposcuola di 14-17 anni e vorremmo potenziarlo in un corso di formazione.
Le nostre offerte formative ci consentono di porre maggiore attenzione all’individualità, non solo alle competenze tecniche ma anche alla socializzazione. Per esempio, i beneficiari che lavorano insieme organizzano uscite e creano un ambiente molto accogliente. Potremmo così introdurre idee e uno stile più nostro, più personale.
C’è qualche aspetto in particolare che ritieni importante sottolineare riguardo alla tua esperienza all’interno del progetto “In & Aut”?
Se parlo in veste di progettista, è stata un’esperienza davvero positiva. Negli anni di esperienza ho visto tantissimi donatori, quello che ho sperimentato con l’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai è stato avere un dialogo e un confronto costante, con un’ottica di lavoro di medio periodo. Questo è stato davvero rincuorante. Davanti alle difficoltà, grazie al confronto, si sente di poter affrontare e superare le varie cose che succedono. È stata un’esperienza estremamente positiva di scambio, condivisione e strutturazione di una metodologia di lavoro che sta diventando patrimonio comune della nostra associazione. Come dipendente dell’Associazione La Rotonda è stato molto bello e sfidante veder crescere un’area – come quella dedicata al lavoro – che rispondeva a un bisogno forte sul territorio e che ha preso in carico una fascia di giovani molto vulnerabili. Direi un successo su tutti i fronti!