L’agricoltura sociale per rigenerare la comunità locale 

Ambiente

Abbiamo intervistato alcune persone direttamente coinvolte nel progetto Habitat, finanziato grazie ai fondi 8×1000 della Soka Gakkai e realizzato dalla Cooperativa Sociale Capovolti in un’area adiacente a una ex-discarica illegale interessata da opere di deforestazione, nel comune di Montecorvino Pugliano (Salerno).

Francesco Napoli, responsabile di progetto

Come nasce e in cosa consiste il progetto Habitat e perché interessa proprio quest’area?

Il progetto Habitat consiste in un intervento di riqualificazione e rigenerazione di terreni incolti all’interno dell’area geografica dei Monti Picentini che si affaccia sul Golfo di Salerno e che storicamente è stata impoverita e abbandonata, soprattutto per quanto riguarda l’agricoltura.
Il progetto restituisce alla comunità ciò che era abbandonato: i casali, le culture, le tradizioni, la dieta mediterranea, andando a valorizzare il patrimonio agroalimentare del territorio. Ma non solo, Habitat promuove l’agricoltura sociale, un ecosistema di welfare, che è un modo per rigenerare la comunità locale rimettendo al centro le persone più fragili.
Infatti, il progetto ha il valore essenziale di accompagnare nella formazione e nell’inserimento lavorativo persone con vulnerabilità e svantaggi all’interno delle attività di riqualificazione, inoltre di restituzione alla comunità locale dei luoghi di bellezza e anche di promozione e di valorizzazione delle eccellenze locali che stiamo recuperando in questa fase.

Per realizzare i vostri obiettivi avete deciso di creare una rete e lavorare insieme. In cosa consiste la collaborazione tra i vari attori del progetto?

Poiché parliamo di un ecosistema, di welfare, di prossimità e di comunità, la rete territoriale diventa un elemento essenziale di realizzazione e progettualità.
Per fare questo abbiamo scelto dei partner con i quali storicamente la nostra cooperativa collabora sia in termini operativi, ma soprattutto in termini etici e valoriali, che è essenziale per portare avanti delle progettualità di questo tipo. 
Il partenariato è stato selezionato in termini di competenze, per cui ogni attore della rete territoriale ha gestito una parte della progettualità affinché si potesse seguire da un lato il tema della rigenerazione dei terreni incolti oggetto d’intervento e dall’altro accompagnare i beneficiari e la comunità ad avere un contatto, a costruire un legame, un senso di appartenenza con questo luogo e con questo territorio. 

Quanto è stato importante il sostegno dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai? 

L’intervento dell’Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai è stato essenziale in termini di sostegno finanziario, ma anche di collaborazione nella costruzione di questa progettualità e nel portare avanti questo intervento.
Il nome del progetto, Habitat, indica proprio il recupero e la messa a disposizione degli spazi che diventeranno un habitat, per esempio per le api, essenziali per la sopravvivenza dell’ecosistema complessivo. Quest’area geografica è complessa perché è stata oggetto di uno sfruttamento del suolo che ha impattato notevolmente dal punto di vista ambientale e idrogeologico.
Confidiamo che le risorse messe a disposizione portino i frutti sperati per restituire questi luoghi e valorizzare le produzioni che qui verranno realizzate.

Giuseppe Marotta, operatore della cooperativa Capovolti

Uno degli obiettivi del progetto è favorire l’inserimento lavorativo di persone con fragilità. Quali sono le principali difficoltà e come le state superando?

Parlando del contesto specifico dell’agricoltura, la difficoltà maggiore è stata riscontrare che le persone inserite non si sentivano in grado di svolgere determinate mansioni. C’è stata da subito una grande empatia e un desiderio di riuscire a valorizzare ogni passo in avanti; la cosa importante è avere pazienza perché, anche se non sai fare qualcosa, poi piano piano la impari. 
Alla fine di ogni attività infatti si è sempre riscontrata una grande soddisfazione da parte loro, perché avevano raggiunto un obiettivo, diventando totalmente padroni e responsabili dell’azione che avevano fatto. 
Personalmente ho dovuto superare i miei pregiudizi: il lavoro agricolo, di campagna, è pesante e va fatto in un certo modo. Per questa ragione inizialmente ho fatto una gran fatica a delegare a persone che presentavano diverse fragilità, ma lavorando su me stesso mi sono impegnato a trasmettere loro la mia fiducia. 
Ci sono persone che sono inserite con noi da più di sette anni e hanno appreso molte nozioni, sono loro adesso che insegnano ai nuovi arrivati e per noi questa è la più grande soddisfazione. È il risultato del lavoro svolto con tanta passione e pazienza. 

Il progetto Habitat promuove anche iniziative didattiche ed educative per i minori, gli adolescenti e le famiglie. Quale impatto si sta avendo grazie al progetto?

L’impatto che abbiamo riscontrato attraverso l’esperienza dei nostri ospiti e delle famiglie è per noi totalmente positivo e va oltre ogni immaginazione. Questo era un territorio martoriato, abbandonato a se stesso e le bellezze della natura non si vedevano più; noi miriamo a renderlo un parco fruibile a tutti ripristinando i danni fatti nel passato. 
La nostra forza, la dedizione e la consapevolezza ci dice che possiamo farlo. Sarà faticoso, sicuramente. Ma i riscontri che arrivano dal territorio dopo le prime attività svolte sono molto positivi perché hanno avuto un risultato eccellente. 

Beneficiario del progetto

Che tipo di percorso hai avviato grazie al progetto, quali sono gli impegni che porti avanti? 

Noi siamo una realtà agricola, a seconda delle stagionalità coltiviamo alcuni prodotti e poi procediamo alla loro trasformazione. Da poco abbiamo finito la raccolta di pomodori, melanzane, fagioli e prodotti tipici estivi e iniziato la raccolta delle olive per fare l’olio biologico. Essendo quest’area molto vasta, inoltre, c’è sempre da tenere pulito, tagliare l’erba o mettere in ordine.
Organizziamo anche dei progetti con le scuole e facciamo da accompagnamento ad associazioni o enti che desiderano portare qui le loro proposte.
Vogliamo trasmettere l’idea di uno spazio aperto, dando questa possibilità a tutte le realtà, naturalmente conoscendo in anticipo i progetti e rispettando determinati requisiti. 
Un progetto basilare che portiamo avanti con le scuole è “l’orto quadrato”: un metro e mezzo di terreno, fatto dentro un cassone di legno con all’interno delle anfore per l’irrigazione. È molto semplice per chi non ha mai avuto esperienze in agricoltura. Veder crescere una piantina e tenerla sempre sott’occhio dà sempre una grande soddisfazione.

Che impatto ha avuto il progetto nella tua vita? 

L’ha sicuramente migliorata dal punto di vista lavorativo. Qui al sud ci troviamo spesso a lavorare sottopagati, in nero o con contratti ridicoli. 
Inoltre, a me piace tantissimo la natura, ho sempre fatto l’orto, coltivato, ma non ho mai avuto l’occasione di farlo come lavoro fisso.
Grazie al progetto invece posso dare una continuità a questi sforzi. È sicuramente un viaggio molto faticoso perché lavorare in campagna è duro e per farlo bisogna avere passione.

Quali sono i tuoi sogni per il futuro? 

Il mio sogno, legato al progetto, è che ci siano sempre più realtà che vengano qui e uniscano le loro esperienze. Le idee sono tante, come ad esempio fare teatro e altre attività artistiche. 


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